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Ferragno_Warhol

La stanza del prof. Carresi

#Saròbreve….Ferragni, è il cognome del gommaio del babbo di Drusilla Foer a Siena

Ferragni, è il cognome del gommaio del babbo di Drusilla Foer a Siena. Forse solo per questo motivo dovremmo ricordarci di questo cognome nella questione nata intorno agli Uffizi (con una sola Z). Questo non perché ho la puzza sotto il naso (boh forse sì), o per un tentativo di denigrare il personaggio o il target di persone che si riconoscono in lei, ma solo perché nella vicenda del seflie davanti a Botticelli (e non solo in realtà), non c’è davvero niente da dire. Al limite c’e da dire qualcosa riguardo allo sgomitamento isterico che ne è uscito dopo, a quell’inutile dispendio di byte e energie.
Al riguardo illuminante è una frase scritta in un post da Pier Luigi Sacco, che spiega: “Nel momento in cui si dice che la foto di CF avrebbe profanato Botticelli, il museo, o qualunque altro sacro principio si voglia difendere, piegando la chiesa-museo alle profane logiche del marketing (ehi, sveglia: tutti i musei del mondo fanno marketing, è un servizio come un altro, e non ha nulla di particolarmente sconveniente o scandaloso), si sta automaticamente dicendo ai suoi milioni di giovanissimi follower che se non c’è posto per lei, in quel museo, non c’è posto nemmeno per loro.”

Se proprio dobbiamo analizzare la questione io ci vedo una cosa che come al solito è un “deja vu”, perché anche in questo caso non si inventa niente: una specie di cortocircuito in cui si mandano in crisi le strutture mentali di cose, persone e luoghi ormai acquisiti in modo stereotipato. E nonostante proprio la storia dell’arte sia partita con Duchamp a mandare in crisi certi sistemi, ancora abbocchiamo come lucci!
Nel 1962 Andy Warhol dipinge con tecnica impersonale, imitando la stampa pubblicitaria, un barattolo della famosa passata di pomodoro Campbell’s: da allora un oggetto da supermercato, accessibile a tutti, un oggetto da consumare e gettare, economico, entra nel circuito dell’arte, nei musei, nel mercato e nella polemica: Warhol mostra l’ossessione (che non ci ha più abbandonato) per l’acquisizione di oggetti che devono dunque diventare accessibili e argomenti d’arte pop perché fanno parte della vita e della società contemporanea! La Ferragni pop che si fotografa di fronte alla Venere di Botticelli, fa inconsapevolmente un’operazione al contrario rispetto a Warhol: è come se (perdonatemi il paragone) la scatoletta pop e commerciale fosse diventata la Ferragni stessa, lei, che di fronte a quel quadro, rende l’opera stessa pop, un po’ più scatoletta Campbell’s, accessibile, nota, e ne trasmette in astratto la poesia (come è poetica anche la salsa Campbell’s di Andy, sia ben chiaro). La venere è già pop e non è degradata ulteriormente dalla foto con la CF, perchè ciò, al limite, è già successo: inutile alzare lamenti scandalizzati: la Venere e altri dipinti è nei libri ma ancora di più nelle calamite, stampata su borse, astucci, tazze per il té, matite, dai su…

Il problema è CF personaggio, non il selfie: il mondo è pieno di gente che si fa i selfie davanti alle opere, ai paesaggi, anche davanti ai piatti che mangia, la colpa/virtù di CF è quella di intercettare un momento sociale e di costume e di cavalcarlo con sicurezza, senza mai sbraitare, diversamente da come fanno commentatori e fornitori di consigli non richiesti, ma che il più delle volte, sono gli stessi che hanno bisogno di frequentare e capire cosa è un museo.

Il museo, già: il ruolo del museo è sempre chiaro nei presupposti ma complicato da metterlo in pratica di fronte ai tempi che cambiano: l’uso e i significati chiaramente non sono più quelli che i musei avevano nella seconda metà del ‘700 quando aprirono i primi in modo gratuito. Oggi il margine del museo, banalizzando, sta proprio nel rischio tra l’essere dimenticato e l’essere ricordato per le opere feticcio.

Ecco, l’opera feticcio: qualcosa con cui occorre venire a contatto, fare sapere che ci siamo venuti a contatto ma della quale non capiamo niente, oppure la comprendiamo superficialmente, oppure non ci importa comprenderla: ognuno giustamente si rapporta come vuole e con gli strumenti che ha. inutile urlare allo scandalo per la banalizzazione e profanazione di Botticelli a causa di un selfie, quando milioni di persone oltre CF si sono fatti, si fanno e si faranno uguali fotografie di fronte alla Venere e avranno tutta una serie di oggettistica che riproduce l’opera in questione (o gli angioletti di Raffaello). Proprio le opere di Botticelli agli Uffizi, prima del covid, sono quelle che spingevano il museo verso problematiche pericolose legate all’affollamento (“gli Uffizi sono un grande museo, non un museo grande” diceva il precedente direttore Antonio Natali), alla climatizzazione, all’impossibilità di permetterne una visione “umana”: esattamente e ancora di più, come la Gioconda.

Quindi l’opera (custodita nei musei, chiese, palazzi, parchi) come feticcio o come elemento di poesia che ci parla da secoli più o meno lontani?

Riguardo a questo argomento, mi viene in mente chi è il vero influencer di tutta questa storia. Non è la CF, ma l’inquietante direttore degli Uffizi stesso, Eike Schmidt, lui, che dopo due anni che era direttore e sotto contratto disse che se ne sarebbe andato all’Albertina di Vienna (facendo arrabbiare gli italianissimi) salvo poi ripensarci dicendo che sarebbe rimasto a Firenze (facendo arrabbiare gli austriaci), lui che solo dopo 5 anni dal riallestimento di alcune sale del museo, tra cui quella del Tondo Doni di Michelangelo, spende altri soldi per rivoluzionare ancora quelle sale inserendo i quadri entro mega cornici plastiche a forma di oblò o di monitor televisivi, opere manieriste e barocche, quindi non proprio visivamente tranquille. Lui che da una parte promette la fine delle code di ingresso al museo, ma dall’altra permette l’affollamento di fronte alle opere manifesto, dimenticando del ben di Dio che gli Uffizi hanno. Lui che si fa fotografare in espressione seria e compita dopo aver fatto rientrare una natura morta del ‘700 rubata da Palazzo Pitti dai nazisti. Lui che dice di voler realizzare un’opera architettonica rimasta a livello di progetto degli anni ’90 (quindi vecchissima) come la “pensilina” di Isozaki, il direttore che dopo la pandemia finalmente dice che adesso l’esperienza agli Uffizi sarà all’insegna della tranquillità, della contemplazione, senza però crederci troppo. Ma soprattutto, lui che solo 3 giorni dopo la foto della Chiara, si affretta a far sapere dell’aumento del week end seguente di ingressi e di giovani dentro il museo, come se in 48 ore le prenotazioni si siano impennate scavalcando anche le prenotazioni precedenti! In questo mix di alto e basso, di sapere scientifico mischiato a dinamiche banali al limite del populismo rimane che, in fondo l’opera feticcio serve ed è facilmente accessibile, a scapito della poesia che è spesso difficile, porta a pensare e richiede empatia: qualità a cui siamo poco avvezzi malgrado il #NeUsciremoMigliori

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L’Osservatorio della Cultura è attivo nel Comune di Follonica ed è andato definendosi a seguito di un percorso di analisi della percezione delle attività culturali e per consentire un canale strutturato di espressione del pensiero collettivo, guidato dalla costruzione di un modello di cittadinanza attiva. L’OdC può essere sviluppato in qualsiasi contesto territoriale attraverso:

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Raccolta dati

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Somministrazione diretta – Intervistatori in vari luoghi cittadini

Attraverso il sito del Cantiere Cultura con questionario on-line

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